Guerra e pace


Fabri Fibra è il miglior cantante italiano degli ultimi dieci anni. 
È chiaro: con un po' d'ironia capite subito che questa frase, volutamente provocatoria, risente dei miei gusti musicali. 
Ma tranquilli, si tratta solo di un espediente per attirare la vostra attenzione, farvi leggere queste righe e spiegarvi come la frase d'apertura non sia del tutto una provocazione. Questo perché? Perché la funzione principale di un cantante è quella di trasmettere. Generalmente uno stato d'animo, ma a volte anche un messaggio. E in quest'ultimo caso Fabrizio Tarducci, aka Fabri Fibra, ci riesce benissimo sin dai tempi di Tradimento (2006), toccando l'apice nel 2012 con l'album Guerra e pace.
Cosa ha voluto trasmettere il rapper marchigiano con questo disco? «Guardate l'Italia di oggi: il potere mediatico condiziona inesorabilmente le nostre vite ma sta a noi non lasciarci dominare da esso». La rabbia incontrollabile di Controcultura (2010) sembra aver lasciato spazio all'amara disillusione. Non ci sono più mezze misure. Bianca o nera come l'intero booklet, la vita è guerra o pace, in cui l'unica certezza è una voce dentro noi come un invito a un esercizio di intima riflessione: giudizio e reazione, per non rimanere in uno stato di perenne incoscienza, ad aspettare. Inquietudine, fastidio, scomodità: ciò non toglie che possa venir meno la voglia di riscatto, proprio come in un film neorealista in cui, paradossalmente per una musica che passa difficilmente in radio, i protagonisti sono i "very normal people". Scene di vita quotidiana in un'Italia lenta, incastrata nel passato, di plastica, (ri)fatta di reality show, precariato studiato ad arte e tranquillizzanti salotti domenicali. 
Armato di riso sardonico e come un perfido giocoliere/cantastorie in versione moderna, Fabri Fibra si diverte a mettere a nudo re e regine dell'intero mondo mediatico assieme alle loro ipnotiche corti, comprese le case discografiche, gente del 1943/che non conosce il Web/che non conosce il rap/che non sa nemmeno come registro questa track. Attenzione: non si tratta di spavalderia gratuita. Come in altri album precedenti, è solo un modo di comunicare la difficoltà nel nostro Paese di far passare un messaggio, un certo tipo di messaggio, tramite musica rap.
Se il palcoscenico è veramente questo, cosa ci rimane? Perlomeno è necessario credere, bisogna scrivere. E per scrivere efficacemente si possono utilizzare rime taglienti su basi dubstep, goliardia e citazioni à la Baustelle, atte a disegnare uno scenario cupo e claustrofobico in cui è difficile riflettere e reagire. L'invito alla riflessione, alla consapevolezza di ciò che ci circonda, è rivolto a tutti indistintamente, in un Paese in cui i giovani parlano come i vecchi e dove i vecchi fanno ancora i giovani. Per questo il rapper di Senigallia si inventa rime scomode in cui sollecita le persone alla riappropriazione degli spazi (quelli veri) culturali, politici e delle relazioni sociali. 
Se veramente è questa l'Italia del 2012, l'ascoltatore a questo punto ... vorrebbe tanto scappare in un posto normale/arricchirsi/sposarsi/e (forse) tornare. Sembra quindi esserci davvero spazio per una totale disillusione. Sembra. Ma non è così.
La presa di coscienza di questa situazione non deve indurre al panico. Questo quadro desolato e desolante della società italiana non deve indurre alla rassegnazione: vale sempre la pena provare a cambiare le cose che non vanno, anche a costo di sbagliare, perché sbagliare è facile/ma il segreto è nel capirlo, soprattutto se a dircelo è una suadente voce femminile come quella di Elisa. Perché guerra o pace che sia la nostra vita, ciò che conta veramente è quanto siamo capaci di rialzarci dopo ogni sbaglio, sconfitta, sventura: il finale dipende solo da noi.
Ecco. Dopo aver letto questo sketch, trovatemi un cantante italiano che, negli ultimi dieci anni, abbia saputo trasmettere un messaggio meglio di cosi.
Buon ascolto.

Marco Scanu

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