Polvere e ombra: parte seconda
Che cos’è essere (e non far) parte del pubblico in
un concerto di Vinicio Capossela? E chi sono Vinicio Capossela e la band al
seguito? Probabilmente, in un’unica risposta, è essere sostanza di un’istantanea
atemporale di un rito propiziatorio di un gruppo di misteriosi, navigati e
naviganti, sorridenti, colorati, maliziosi, veraci cantori/ giullari/menestrelli,
che suona da Sempre, frutti dei capricci delle Muse e dei corteggiamenti di
Dioniso in chissà quale secolo, catapultati - quanto dura la vista del passaggio
di una rondine - da un perduto campo di grano della Magna Grecia al DuFestival
di Bauladu, attraversando suoni e danze di polvere e ombra.
Perché un manipolo di cowboys –custodi della Musica-
è stato spedito dalle divinità fino in Sardegna? Terra di giganti, guerrieri,
... estremo lembo ovest d’Italia o estremo lembo nord dell’Africa? Il confine ... un’insinuazione spaziotemporale nata
dalle convenzioni umane. Fenici, punici, romani, spagnoli, franchi, ... quante
persone sono passate di qua. Perché siamo tutti forestieri di una stessa patria.
Ed è solo la musica che fluttua
nell’aria e sale ... sale oltre i confini. La frontiera ... da abbattere
a suon di chitarra, contrabasso, violino, sonagli, tromba, percussioni, ...senza
confini ... come il mare, di tutti. Come il mestiere di pezzire, di tutti. Chiediamo,
mendicanti in un viaggio chiamato vita. Acqua e aria, oltre i limiti.
Forse esiste un filo che, dunque, unisce Calitri e
il Sinis? Ululati blues dell’anima e scanzonati piaceri carnali accomunano
queste terre, nelle ombre selvagge della notte e nelle ombre sinuose delle note
... come cowboys verso la California. Esistono dunque dei mondi che si
incontrano e si completano, dove il lavoro può ancora essere fonte d’ispirazione
per l’arte, dove son protagonisti i custodi della Musica e i guardiani dei
buoi, "Boès" e "Merdules", insieme ... i cui canti, balli, e “ Sonàzzos” danno vita a un
sopraffino baccanale musicale ad alto tasso alcolico. Come ci si può tirare
indietro di fronte a tanto furore di vita? Anche il più ligio tra i “Componidoris”
scenderebbe da cavallo per adempiere ai propri doveri ... doveri carnali, terreni,
passionali.
Forse tutto questo è stato un sogno, rito, magia
... forse. O forse son le attonite sensazioni che stanno ancora sulla nostra
pelle il giorno dopo il concerto, con la
consapevolezza di aver assistito a qualcosa che è andato oltre un semplice
spettacolo.
E così, in men che non si dica, il viaggio onirico
si trasforma per me in un viaggio di ritorno a casa, in cui ho la fortuna di conoscere
Fabrice Martinez, virtuoso violinista de “Le canzoni della Cùpa”. Lo accompagno fino
alla stazione di Elmas/aeroporto: quale posto migliore, se non il treno
(proprio come l’ultima canzone della Cùpa) per parlare della magia di ieri? Fabrice
è ancora visibilmente stanco dal rito musicale che ha creato ieri sul palco
insieme a Vinicio e agli altri “all
stars”, ma è gentile e risponde volentieri alle mie domande. Deve partire subito per il prossimo tour in
Puglia e gli dispiace lasciare così presto la Sardegna, anche perché non ha
avuto modo di conoscere in maniera approfondita il Sinis, pur avendone
percepito in poco tempo il fascino e l’ospitalità delle sue genti.
Una prima parte di carriera -maggiormente “on the
road”- ha lasciato il posto a una vita professionale più stabile. Suona principalmente
negli Stati Uniti, con il suo “Fabrice Martinez Gypsy Jazz Quartet”, e vive a
Los Angeles. Fabrice mi confessa che a luglio 2018 si è preso una vacanza dopo
tanti anni di faticosi impegni musicali: una vacanza nella sua natìa Francia.
Ma da questa vacanza è stato richiamato in tutta fretta proprio da Vinicio, per suonare al DuFestival
i brani della Cùpa registrati a Cabras nel lontano 2003. Conosce Vinicio da ben
vent’anni: un’amicizia forte, vera, senza compromessi, basata sulla
condivisione di idee e la stima reciproca.
Fabrice è un artista: mentre parla di musica,
accompagna le sue parole con eleganti gesti delle mani, proprio come farebbe
con l’archetto del suo violino, per dare alle lettere maggior forma ed
espressione, proprio come farebbe con le note di uno spartito.
Gli chiedo quale aria musicale si respira a Los
Angeles e mi fa capire che gli States sono un meraviglioso melting pot musicale
dove vi è una continua evoluzione e contaminazione di stili. I progetti a cui
sta lavorando ne sono la prova: dalla musica cubana al jazz, dall’afro beat al
rock.
Abbiamo ancora il tempo per guardare le fotografie
e i video di ieri e mi chiede di inviargliene qualcuna per poterla mandare a
Vinicio. Ridiamo e discutiamo dei momenti salienti fotografati e ripresi, tra
cui quello in cui è stato eseguito “Marajà”
e, nel finale, il grande classico “Che
coss’è l’amor”.
Siamo arrivati.
Aiuto Fabrice con i bagagli e ci ripromettiamo di
rincontrarci qui in Sardegna: sarà sempre il benvenuto.
La mia ultima domanda riguarda gli inizi da
musicista di Fabrice: mi dice che ha iniziato a suonare il violino a diciannove
anni e, come ogni grande artista, non ha intenzione di smettere. Gli chiedo se ha
mai pensato a una vita diversa da quella del musicista; solleva leggermente lo
sguardo, come se stesse pensando a un qualcosa di imprescindibile della sua
vita, e mi lascia con un “è tutto quello che so fare”.
Grazie.
A presto.
Marco Scanu
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